matrigna nelle famiglie ricostituite

Lettera di una matrigna sincera

“Che cosa succede?”

“Non lo so. Mi sento sola”

Sono le undici di sera e non riesci a dormire. Così restiamo in soggiorno, rannicchiate sul divano a chiacchierare, mentre tuo padre e tuo fratello dormono nei loro letti.

“Ma poi quando si è grandi passa?”

“Che cosa?”

“La solitudine?”

Ti guardo mentre resti sdraiata con una grande tristezza appoggiata sulla gola e mi scruti, accennando un sorriso. Mi chiedi se per caso se ne va quel mondo cavo che si fa largo tra le ossa del petto. Ma anche se hai un’innocenza appena scalfita, non me la sento di mentire. Perché mi ricordo alla tua età com’era.

Anche se ero bambina e non avevo parole per dirlo, lo percepivo il tremare del mondo, quella mancanza che abitava nelle ombre e agli angoli degli occhi. Mi faceva paura, perché raccontava di terre senza amore, ma allo stesso tempo era un nero che dava profondità al mondo.

Ti rispondo che no, non si smette di sentirsi soli.

A volte capita anche agli adulti e, forse, quello che cambia è che alcune tempeste finisci per conoscerle meglio – anche se questo non rende più facile le cose.

Penso a come siamo arrivate qui.

Di tutte le cose possibili, non immaginavo che nella mia vita sarei diventata matrigna.

Non porto con me mele luccicanti o dolore dipinto sugli specchi. Non indosso mantelli viola o corone di vetro, ma sulla mia testa pesa l’incertezza di non sapere bene qual è il mio posto.

Per lungo tempo noi matrigne indossiamo un ruolo invisibile.

Diventiamo osservatrici silenziose del nucleo “originario”, incerte del nostro spazio all’interno delle dinamiche familiari.

Dove stanno i confini? Dove è giusto intervenire o meno? Fino a che punto bisogna prendersi delle responsabilità o fare un passo indietro?

È una continua domanda la nostra, spesso avvolta da una grande solitudine.

Ci alleniamo quotidianamente per diventare funamboli attenti, oscillando nelle giuste distanze per non invadere i legami genitore-genitore, genitore-figlio, fratelli-sorelle, ma allo stesso tempo senza apparire troppo distaccate o fredde. Ci alleniamo a camminare sulle soglie, con un meticoloso lavoro di osservazione, ascolto, passi indietro e passi rispettosi in avanti, con la pazienza di chi sa dare agli affetti una possibilità.

Perché quello che ci spaventa maggiormente all’inizio, oltre a non capire dove si è finiti e come ci si deve comportare, è l’assenza dell’affetto. Quel turbine di amore che vediamo impresso nei nostri partner verso i propri figli ma che a noi non arriva, perché abbiamo degli sconosciuti davanti. Degli sconosciuti che non abbiamo scelto, ma che ora sono parte della nostra famiglia.

“Io posso essere questo per te”: sembrano parole semplici dette ai figli del partner, ma sono parole che la testa partorisce solo quando la tua pancia ha percorso tantissima strada.

Sono parole che dici quando sei rimasta con pazienza accanto al dolore rotto di una famiglia che non c’è più,

hai sopportato la sensazione di sentirti fuori posto,

hai rispettato gli spazi della coppia genitoriale senza schierarti,

ti sei addentrata nella narrazione della famiglia provando a costruire tradizioni nuove,

hai atteso che l’affetto facesse capolino senza forzare il tuo mondo interiore e quello di chi ti stava attorno,

hai lasciato che il tempo scorresse,

hai tracciato i tuoi confini e preso i tuoi spazi,

hai visto degli esseri umani al di là dei ruoli e delle storie che si intrecciano nel tuo quotidiano,

hai imparato che servono tenacia e delicatezza per attraversare le vertigini (e un luogo sicuro come la terapia per poterlo fare),

hai imparato parole difficili da pronunciare come “ti voglio bene” quando l’affetto è arrivato,

hai tagliato unghie, annusato vestiti, fatto compiti, messo a letto, guardato cartoni, cucinato insieme, steso i vestiti, riaddormentato, disegnato, parlato, accompagnato a scuola,

hai smesso di confrontare la tua vita con le sequenze apparentemente lineari delle altre coppie,

hai imparato a dire “Ricordati che per te mamma e papà ci saranno sempre e che se hai bisogno di un adulto in più io sono qui”

La corona della matrigna pesa perché è un ruolo difficile da accettare e da costruire.

Richiede pazienza e continue limature e a volte la sensazione di essere fuori posto torna sempre a trovarci. Eppure, pian piano, possiamo scegliere che vesti indossare, definire il ruolo che vogliamo avere, sentirci forti nelle forme dell’amore che possiamo portare nella nuova famiglia.

matrigna e le famiglie ricostituite

Qualche spunto per approfondire le famiglie ricomposte e il ruolo della matrigna/patrigno

“Ricomporre la famiglia. Tra ferite e risorse” di Monica Accordini e Scott Browning, edizioni Franco Angeli

Vita da Matrigne: sito ricco di spunti e risorse per riflettere e ricevere sostegno

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