Caro ciò che non sei più

Caro ciò che non sei più,

a volte si oltrepassa una soglia che ci aveva sempre tenuto al sicuro. Le voci nella testa, quelle che ti facevano rialzare in piedi o che davano coraggio, ora iniziano a prudere, ti danno fastidio, perché sono la corona brillante di una grande solitudine indossata con eleganza.

Ora provi vergogna di fronte a bisogni giganti che non hai mai chiamato. Ti senti scoperto, grezzo, come se ti fosse stato tolto un involucro di dosso, uno strato che racchiudeva un cosmo di colori perfetti per placare un buio dal quale – credevi – non ci fosse via di scampo.

Poi scopri che oltre quella porta socchiusa, da cui filtra un raggio di luce, c’è altra pelle che ti sta crescendo addosso.

È una pelle più sincera. Una pelle che ha paura di guardare i mostri negli occhi ma, nonostante questo, tenta di farlo perché, adesso, ha qualcuno accanto che è disposto a essere una scogliera salda e aperta alle tue tempeste ruggenti.

La psicoterapia fa questo: apre delle crepe in muri altissimi che erano necessari per sopravvivere.

E da quelle crepe esce tanto dolore, ma ci può entrare anche qualcosa di bellissimo a cui ancora non sai dare un nome.

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