
L’Uomo Invisibile
Mostri e Psicologia
Dietro allo scricchiolio lento di una porta, nell’immobilità di una casa abbandonata che continua a respirare, ci sono corridoi neri e rigonfiamenti nel muro che conoscono segreti, dettagli scomposti di una normalità incrinata e vento che soffia tra gli stipiti delle finestre. Tutto racconta di un richiamo, di solitudini e grovigli che hanno bisogno di essere accarezzati. Il buio, quando lo attraversi per tanto tempo, diventa affascinante quasi come il dolore: prima inizi trascinandotelo dietro e poi lo indossi come una pelle che sa di nostalgia. I mostri questa nostalgia la conoscono bene. È la nostalgia di essere compresi, visti, amati, ascoltati, che vive in tutte quelle parti di noi che ci terrorizzano. Credo che i mostri abbiano qualcosa di importante da insegnarci (non solo rispetto alle nostre parti lontane) ed è per questo che i prossimi post di Ferite Creative saranno dedicati a loro.

L’Uomo Invisibile
L’invisibilità è un grande super potere.
Puoi andare e venire da qualsiasi luogo quando ti pare, evitare i conflitti, sapere tutto degli altri perché alla fine ti trovi sempre a osservarli – un pezzo di carta da parati stellata che sogna i riflettori.
La parte che fa un po’ schifo è che, a forza di questa storia che nessuno ti vede, fatichi un po’ anche tu a capire che forma hai, cosa vuoi, quali sono i tuoi bisogni – giusto due o tre cosucce insomma!
Per questo quando il dottore-Corvo batte il suo becco sulla scrivania di mogano e mi chiede: “Ma quali sono i tuoi bisogni?”
Io rispondo un po’ balbettante: “Spazio… cura di me… capire?”, azzardo la risposta giusta, ipnotizzato dalle sue piume arruffate.
Ma ancora una volta, mi accorgo che sto cercando di dire quello che penso gli altri vorrebbero sentirsi dire.
La verità è che non ne so niente dei miei bisogni. Quelle che sparo nella stanza sono parole vuote, gusci pieni di promesse di quello che potrei essere.
Ci metto un po’ a decidere di smettere di essere invisibile.
Quando mi esce la rabbia, mi spunta la testa.
Quando capisco di essere stanco di scappare dai conflitti, mi tornano le mani.
Quando incontro la mia tristezza, mi accorgo di avere un petto – con dentro qualcosa che batte in modo molto simile a un orologio da taschino.
Capire chi sono e chi sono stato mi restituisce un corpo.
Non voglio più essere amato in proporzione al poco spazio che occupo o alla mia silenziosità. Voglio strepitare, arrabbiarmi, ridere e giocare, piangere e occupare tutto lo spazio che mi va.
11 agosto 1897 ~ L’Uomo Invisibile (rare pagine trovate in un diario strappato)
“L’invisibilità, in fondo, serve solo in due casi. È utile per allontanarsi da un luogo o per avvicinarvisi.” ~ L’Uomo Invisibile di H.G. Wells

Rispondi