
Julie
Pepper’s House
Pepper’s House è una casa tranquilla.
Se la guardi da fuori, non è particolarmente appariscente, anche se nei suoi sogni desidererebbe essere uno di quei villini vittoriani decadenti con l’edera alle finestre – sì, perché anche le case sognano e desiderano trasformarsi col passare del tempo.
A Pepper’s House abitano tante persone, ma nessuno ha precisamente idea di chi siano i suoi inquilini.
Quello che è certo è che, in questa casa, anche gli oggetti hanno tante verità da raccontare, soprattutto quegli oggetti ignorati dai più: sono testimoni di vita che scorre e si piega e diventa qualcosa di nuovo.
Per questo siamo qui. Per ascoltare le loro storie.
🎵 Quello che senti nel reel è un pezzo di “Observatory Mansions” di Edward Carey
Julie

Julie disegnava solo alberi.
O meglio, questo era quello che diceva a chi si interessava al suo lavoro.
Non avrebbe avuto il coraggio di dire che in realtà disegnava le linee che vedeva nelle persone.
Perché questo erano essenzialmente le persone: garbugli di linee.
Erano grovigli che pensavano di avere un inizio e una fine da qualche parte, ma ben presto scoprivano che a volte potevano spezzarsi, attorcigliarsi, ricominciare a crescere o diventare sottili fino quasi a scomparire per poi ispessirsi come muri che portano il silenzio.
A Julie piacevano le linee.
A Julie piacevano le persone.
Sognavano di avere un posto e un ruolo preciso, come un punto interrogativo o una virgola, ma non capivano che essere umani era tutto il contrario che essere lineari.
Era abitare lo spazio tra le cose – quello che di solito ci permette di vedere.
Era non sapere che, mentre ci stiamo affannando nel dolore, la vita sta crescendo nel suo processo, qualcosa in noi fa il suo pezzo di strada.
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