Clotilde

🗨️ “Ma come si fa ad andarsene? A lasciare spazio a qualcun altro?”

🎲 Questo racconto è stato scritto insieme alle persone che seguono la pagina Instagram di @ferite_creative utilizzando gli Story Cubes.

Clotilde era una donna spigolosa come gli angoli di un origami.

Era spigolosa nel suo sguardo fermo, nelle insenature del suo carattere che colmava di controllo, nelle azioni quotidiane che scandivano la sua mattina.

Gli spigoli che la confinavano l’aiutavano a tenere ordine: ordine nel suo salotto con le tende appena scostate, ordine nel cassetto delle spezie, e soprattutto ordine dentro la sua testa.

La testa di Clotilde non era un posto ordinato. La notte soprattutto succedeva un gran casino. Appena si addormentava, sognava sempre una porta rossa disegnata con un pastello sul muro.

La porta si apriva su un mondo altro dove Clotilde poteva incontrare le parti nascoste delle persone che conosceva nella realtà.

Era come incontrare dei negativi di una fotografia.

Ad esempio, il signor Ferguson nella realtà era un uomo solitario che accarezzava solo i gatti. Come? Avrai letto bene? Ebbene, sì! L’imponente e taciturno signor F. indossava sempre dei guanti di velluto verde che toglieva solo quando doveva accarezzare i suoi gatti: Origano, Rosmarino e Cannella.

Il resto del tempo le sue mani restavano protette da pareti di soffice stoffa. Ma nel Mondo Altro, quello dove Clotilde vedeva il lato nascosto delle persone, il signor Ferguson era un esploratore degli alberi più vecchi del mondo.

Se nella realtà appariva agli occhi delle persone come un timido introverso, senza alcuna esperienza della vita, dentro Ferguson era un impavido cercatore di punti di vista diversi. Amava arrampicarsi sugli alberi più antichi, perché da lassù poteva ricordarsi sempre che è tutto un imprevisto. Era questo che custodiva nella sua timidezza.

Ma torniamo a Clotilde.

Diciamolo: non era facile convivere con due mondi spaccati dentro. A volte si domandava quale fosse la vera realtà. Quella oltre la porta disegnata con il pastello rosso? O quella in cui l’ordine l’aiutava a scandire le giornate?

A Clotilde non piaceva vedere il lato nascosto delle persone. Le sembrava di solleticare con lo sguardo un riflesso troppo intimo, che doveva restare segreto.

Continuò a pensarla così, finché una notte, oltrepassata la porta rossa, Clotilde incontrò nel Mondo Altro, l’Altra Sè Stessa.

Trovò il suo negativo in un doppione della sua casa, che stava esattamente all’incrocio tra una via che somigliava a quella dove abitava nella realtà e la roulotte del signor Ferguson – con l’unica differenza che nel giardino del signor Ferguson c’era un grande larice.

Quando la ragazza bussò alla porta, venne accolta dal suo Doppio che la fece entrare in casa senza dire una parola. Clotilde restò un po’ perplessa e delusa nel vederla. Il suo negativo era esattamente uguale a lei: teneva in ordine le spezie in modo preciso, nel salotto le tende erano appena scostate, ed era schiva, spigolosa, ordinata, proprio come lo era lei nella realtà.

La casa era esattamente uguale alla sua, anche se tutto era disposto al contrario, come se Clotilde si stesse aggirando all’interno di uno specchio.

Ogni mobile, ogni oggetto, pareva una copia fedele degli accessori che popolavano gli scaffali della sua vera casa. Eppure Clotilde scoprì ben presto che niente era come sembrava.

Quando prese posto sul sofà giallo, accanto a un gatto nero dagli occhi smeraldo, si rese conto che tutto era fatto di polistirolo dipinto – compreso il gatto ovviamente!

Il Doppio di Clotilde prese posto sul finto-sofà giallo, dopo aver appoggiato il finto-gatto sulle sue gambe.

Poi drizzò le spalle e arricciò il naso come se sentisse uno strano odore: “Ciao Clotilde, ti aspettavo. Ce ne hai messo tempo per arrivare”

“Ma tu chi sei?”, chiese la ragazza un po’ dubbiosa. Era strano guardare il proprio riflesso di carne gesticolare senza il suo permesso.

“Ah! Qui il punto non è chi sono io, ma chi sei tu!”

“Ma io lo so chi sono!”, ribatté Clotilde, alzando la voce.

“Ed è proprio qui che ti sbagli”, rispose il riflesso, “Dovresti avere un po’ più di dubbi nella tua testa, ragazzina. Mentre perdi tempo a perfezionare un’idea di te, accade che sei già diventata altro. E poi, dovresti sapere la verità arrivata a questo punto”

“Quale verità?”

“Be’, una delle verità che dovresti conoscere è che non sei una persona, ma un modo d’essere

A questo punto Clotilde rimase zitta per qualche momento. Se ne stava a braccia conserte, un po’ imbronciata, con un terribile prurito al naso – che però non voleva toccare, per non sciogliere la postura che la difendeva come un muro vivo.

Essere ripresa dal proprio riflesso non le stava piacendo granché. Men che meno sentirsi dire che non era una persona vera.

“Oh be’, insomma, non fare quella faccia”, disse il negativo, “Era ora che lo sapessi!”

“Di te e di me, ne esistono altre mille”, continuò, “siamo stati d’animo, modi d’essere, sfumature che s’intrecciano nell’interiorità delle persone. Restiamo con loro un po’ di tempo, ma dobbiamo imparare anche ad andarcene a un certo punto. Tu, tesoro, sei rimasta dentro la vera Clotilde per così tanto tempo, che ti sei persino convinta di essere lei! Ma ora devi andartene e lasciare spazio ad altre noi”

Clotilde era senza parole.

Non aveva mai pensato di non essere Clotilde. Non aveva mai pensato di poter essere qualcos’altro, di poter lasciare spazio a qualcuno di nuovo.

“Ma come si fa ad andarsene? A lasciare spazio a qualcun altro?”, chiese la ragazza-modo-d’essere.

“Devi accettare di aver fatto la tua parte. Di aver insegnato a Clotilde un modo particolare di ascoltare il mondo, e che ora lei ha bisogno di cambiare. Ha bisogno di sentire di poter diventare qualcosa di nuovo, perché tutto il suo mondo non diventi di polistirolo”

Il Doppio accompagna Clotilde fuori dalla casa. Non dice molto. Si limita a tenerle una mano sulla spalla mentre insieme camminano verso la strada principale.

Clotilde si sente strana, un po’ come se tutta la pelle che indossa volesse scappare lontano. Cammina con lo sguardo fisso sui piedi. Ha paura di vederli svanire da un momento all’altro.

Come si fa a lasciar andare?

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